Nei depositi del Museo Archeologico Nazionale di Taranto si conserva uno di quei rilievi in terracotta notoriamente classificati con il nome di lastre Campana, dal collezionista più noto di questi manufatti: il marchese Giovanni Pietro Campana.
Tali prodotti vengono realizzati attraverso delle matrici e presentano dimensioni e forme variabili. Decorano solitamente spazi sia interni sia esterni (domus e villae) e attingono per le raffigurazioni al repertorio “neoattico”, a cui si aggiungono immagini “storiche”. Prodotte a partire dall’età tardo-repubblicana, raggiungono la loro massima espressione in età augustea e giulio-claudia.
La nuova attestazione tarantina, finora inedita e di cui non si conosce il luogo di provenienza, è spezzata nel mezzo in due parti ed è decorata con una raffigurazione piuttosto complessa di ambito dionisiaco.
A bassorilievo si susseguono tre scene: a sinistra, un vecchio Sileno ebbro a causa del vino, sorretto da un Satiro, nel mezzo Dioniso, ebbro e anche lui, poggiato su un Satiro, mentre regge un tirso a mo’ di scettro ed è accompagnato da uno dei suoi attributi divini, una pantera. A destra, infine, viene rappresentata una scena composta da tre personaggi, il momento della bollitura del cinghiale in una caldaia di metallo.
Il fregio riporta una serie di scene solitamente riprodotte singolarmente, ma in questo caso appare evidente come il filo conduttore che le lega sia Dioniso posto al centro.
Ciò che è degno di nota è sicuramente l’elemento iconografico della terza scena, ovvero il gruppo con la bollitura. La rappresentazione rientra in una nuova concezione iconografica ellenistica, secondo la quale l’osservatore partecipa e interloquisce con la scena, che ritrae personaggi comuni, implicando una visione a 360°.
Esistono diversi esempi di questa tipologia di raffigurazione che riprendono quella della lastra tarantina, come ad esempio un puteale proveniente da Roma e oggi al Museo del Prado di Madrid. Tuttavia quest’ultimo appare molto più ricco nella rappresentazione, rispetto alla lastra tarantina, non per una variazione di tema, ma per il normale passaggio da una superficie marmorea più pregiata ed estesa a una fittile più corsiva e ridotta.
È rilevante quanto in epoca augustea si attesti questa nuova ambivalenza dei soggetti tipici dell’arte ellenistica, connotati però da una dimensione sacrale più canonica. Dunque lo schema compositivo del puteale deve essere considerato come un’elaborazione di età augustea che trovò una certa fortuna, se fu utilizzata come modello per un prodotto seriale come la lastra Campana. La produzione della lastra tarantina è collocata intorno alla fine del I sec. a.C.
La diffusione delle lastre Campana in Apulia è piuttosto modesta e sembra essere circoscritta a pochi centri antichi, come l’esemplare rinvenuto ad Egnazia (un tempo a Berlino, oggi disperso) o quello trovato a Ginosa con raffigurazioni venatorie, ricondotta ad un prototipo realizzato in occasione dell’inaugurazione del Teatro di Marcello nell’11 a.C.
Le lastre Campana pugliesi, nella loro esiguità, testimoniano la diffusione di elementi sia legati all’arte ufficiale della propaganda imperiale, sia di un repertorio di impronta propriamente greca, elemento che le accomuna resta dunque il legame con la produzione urbana e non locale. L’analisi e lo studio del repertorio figurativo augusteo, di una classe di materiali peculiare all’interno di questo panorama, fornisce utili elementi di studio delle dinamiche insediative e degli interventi urbani di epoca augustea nella Regio II Apulia et Calabria.
Scarica l’articolo completo: Una inedita lastra Campana con Schweinsbrühgruppe da Taranto di Luca Di Franco
Dott. Luca Di Franco
Funzionario Archeologo