Dall’inizio dell’VIII secolo a.C. i popoli iapigi, che abitavano l’antica Puglia, iniziarono a mostrare al loro interno delle differenze che portarono alla distinzione di tre diverse aree culturali: la Daunia più a nord, la Peucezia al centro e la Messapia al sud. Tale processo fu dovuto soprattutto ai differenti scambi culturali; mentre la Daunia aveva più contatti con la costa adriatica e l’area dalmata, la Peucezia e la Messapia entrarono presto in contatto con il mondo greco.
Anche se i rapporti tra le fondazioni greche, quale la città di Taranto, e le popolazioni indigene non furono sempre pacifici, quest’ultimi mostrano ben presto la volontà di acquisire prodotti e modelli culturali greci. In particolare i ricchi contesti funerari rinvenuti nell’antica Peucezia documentano sin dalla metà del VI secolo a.C. un’ampia presenza di materiale greco ed evidenziano una struttura sociale segnata dalla presenza di gruppi dominanti, fortemente ellenizzati, che affermano attraverso il possesso e l’accumulo di questi beni di lusso il loro ruolo all’interno delle comunità.
Armature complete in bronzo e servizi da palestra o da banchetto con vasellame metallico e ceramico di importazione nei corredi maschili, cui si aggiungono in quelli femminili le ricche parures di ornamenti preziosi di provenienza etrusca o magnogreca, esprimono al loro interno la volontà di esibizione di prestigio e potere economico insieme alla condivisione degli ideali aristocratici, come l’atletismo e il simposio, propri della cultura greca.
I centri sulla costa adriatica, come Rutigliano, Ruvo e Ceglie del Campo, sono i principali acquirenti di ceramica greca nel V secolo a.C., con più sporadiche attestazioni nell’area interna, a Bitonto, Noicattaro, Conversano, mentre nella zona costiera meridionale Ginosa e Laterza si configurano come i più precoci recettori di materiale greco tra le genti peucezie.
Insieme ai ricchi materiali di importazione greca, i corredi funerari si compongono anche di oggetti di produzione indigena, quali ad esempio grandi olle, vasi usati per contenere e conservare il cibo. Proprio una di queste olle con ricca decorazione geometrica, che è possibile datare alla metà del VI secolo a.C., è conservata al Museo archeologico nazionale di Taranto, nella sesta sala. Questo specifico vaso è stato trovato a Ginosa, a poca distanza da Taranto, in una tomba, la numero 35 in località Passo di Giacobbe, scavata nel 1990. Questa sepoltura appartiene alla tipologia di tomba definita a fossa e controfossa che prevedeva appunto una fossa scavata nella terra o nel banco roccioso, chiusa con un lastrone di pietra e poi una ulteriore controfossa più ampia sempre scavata nella terra o nella roccia. I corredi potevano essere deposti sia nella fossa, dove si trovava anche il corpo del defunto, oppure nella controfossa.
L’olla della tomba 35 è stata trovata proprio nella controfossa, sul lastrone di pietra, insieme a un’olpe a vernice rossa, che serviva per versare liquidi, e un vaso cantaroide sempre a decorazione geometrica, utilizzato per bere. La decorazione geometrica presente sull’olla presenta i motivi tipici della cultura materiale peuceta che permettono di identificare immediatamente l’ambito di produzione. È stata infatti decorata con disegni geometrici in due colori: rosso e bruno, motivo per cui questa ceramica viene chiamata ceramica bicroma, ovvero che usa due colori. I disegni sono disposti su delle fasce sovrapposte. All’interno dell’imboccatura del vaso si vedono figure maschili e femminili che si tengono per mano, mentre sul corpo del vaso si vede la raffigurazione di una nave con guerrieri con scudi e cavalieri. A separare le scene si trova un motivo decorativo tipico proprio della ceramica prodotta dai peucezi, ovvero dei gallinacei resi con il colore rosso.