La tomba, già saccheggiata e in parte distrutta dai soldati francesi di Gioacchino Murat, fu nuovamente intercettata nel 1869 da Luigi De Simone, membro della Commissione di Antichità e Belle Arti di Terra d’Otranto, nel corso degli scavi da questi diretti nel fondo Maura. Le sculture furono prelevate dal sito in momenti diversi: una porzione di bassorilievo e una cariatide furono trasportati tra il 1869 e il 1873 nel Museo Provinciale Sigismondo Castromediano di Lecce, ove sono tuttora conservati; i restanti ritrovamenti confluirono dapprima nella collezione del Barone Filippo Bacile di Castiglione e successivamente, alla fine dell’Ottocento, nelle raccolte del Museo Archeologico Nazionale di Taranto, ove sono attualmente esposti assieme alle riproduzioni in resina dei reperti mancanti. In merito all’interpretazione simbolica e ideologica dell’apparato ornamentale della struttura, le cariatidi e il fregio con i carri potrebbero alludere rispettivamente alle porte di accesso all’Ade e al viaggio del defunto verso la sua dimora ultraterrena. Le raffinate decorazioni, assieme alla planimetria e all’ubicazione dell’ipogeo nel settore più rappresentativo della città, denotano le notevoli possibilità economiche delle classi dirigenti dell’antica Messapia, che sembrano voler gareggiare, nell’ostentazione del lusso, con le famiglie aristocratiche delle altre aree dell’antica Apulia, in particolare della Daunia.
La tomba “Ipogeo delle Cariatidi”