Il frutto del melograno è stato istintivamente connesso dalle culture del Mediterraneo al concetto di fecondità: fino a tempi relativamente recenti, in vari paesi affacciati alle sue sponde orientali, era tradizione che la sposa gettasse per terra una melagrana, augurandosi una prole numerosa come i chicchi partoriti dal suo grembo.
Ma la melagrana possiede anche una valenza funeraria: facendone mangiare a Kore un unico chicco il Signore degli Inferi Ade riesce a impedire il ritorno definitivo della fanciulla, da lui rapita per farne la sua sposa, presso la madre Demetra.
Nascita e morte sono gli estremi di una vicenda esistenziale che il paragone con la vita vegetale, suggerendo che alla seconda segue sempre una rinascita, apre a una prospettiva ottimistica.
Si spiega così come riproduzioni del frutto, attributo nel mondo greco di varie divinità femminili che hanno incarnato l’archetipo della Dea Madre, compaia spesso nelle tombe come auspicio di rinascita. Lo dimostra un bell’esemplare in terracotta, databile al VI sec. a.C., rinvenuto nell’area della necropoli arcaica di Taranto (Contrada Corvisea). Il frutto è qui coronato da una testa di rapace.