La danza nell’antichità era molto più di una semplice espressione artistica; rappresentava, infatti, un mezzo privilegiato per entrare in comunione con il divino. Un esempio emblematico di questo legame è il culto dionisiaco, dove le donne, trasformandosi in Menadi, celebravano Dioniso, dio del vino e dell’ebbrezza, attraverso danze sfrenate e rituali collettivi.
Durante questi momenti, le Menadi si immergevano in uno stato di estasi divina, con abiti ricchi e vaporosi che sembravano animarsi al ritmo dei loro movimenti frenetici. Le loro vesti, talvolta corte ma più spesso lunghe e pieghettate, venivano completate da una pelle di pantera (pardalìs) o di cervo (nébris) gettata sulle spalle, simboli sacri del dio.
A piedi nudi, con in mano oggetti rituali come il tirso, la fiaccola o il serpente, danzavano ciascuna per conto proprio ma unite nel thiasos dionisiaco, il rito collettivo.
Il movimento delle vesti giocava un ruolo centrale nel rappresentare l’abbandono estatico. Fluttuando e sollevandosi freneticamente, annullavano la fisicità del corpo, lasciando intravedere, solo occasionalmente, una gamba nuda. I volti, con le teste reclinate all’indietro e le bocche socchiuse, trasmettevano l’intensità dell’estasi, ma erano soprattutto gli abiti a dare forma visiva allo slancio divino delle danzatrici.
Non tutte le danze erano però così frenetiche e travolgenti; durante le feste Carnee, quelle dedicate al dio Apollo, il ritmo della danza era molto più composto e i movimenti molto più armoniosi e delicati. I gesti delle danzatrici erano misurati, il ritmo controllato, e le loro vesti leggere, gonfiandosi delicatamente, seguivano il movimento armonioso e circolare dei passi. Questo contrasto tra la frenesia dionisiaca e l’equilibrio apollineo rifletteva due modi complementari di vivere il sacro attraverso la danza: da un lato l’abbandono estatico, dall’altro l’armonia e la misura.
La danza, quindi, si configurava come un linguaggio universale che, attraverso i gesti, i ritmi ei movimenti, permetteva agli antichi di dialogare con il divino e di partecipare a un’esperienza di trascendenza e comunione.
Cratere a volute protoitaliota a figure rosse – Ultimi decenni del V secolo a.C.
Da Ceglie del Campo, via G. Martino, 1898.
Secondo piano, Sala VI, vetrina 52, 1.21.