La ricerca archeologica permette di scoprire cosa mangiavano e cosa bevevano gli antichi. Tra i reperti conservati all’interno del Museo Archeologico Nazionale di Taranto sono infatti conservati anche dei frammenti di pithoi, grandi contenitori utilizzati per lo stoccaggio di risorse alimentari.
Se si leggono i testi letterari greci, appare evidente che è il vino l’alimento più frequentemente conservato all’interno dei pithoi. A conferma di questo si può citare la definizione che ne dà la Suda, un lessico e un’enciclopedia di epoca bizantina, che riporta molto semplicemente la definizione di “Pithos: nome maschile o vaso per il vino”, confermando la sua funzione più diffusa e conosciuta. Quale tipo di vino è però conservato nei pithoi? Anche in questo senso i testi ci forniscono alcuni spunti, suggerendo che si tratti di vino puro, non mescolato ad acqua. Il processo di mescita avveniva infatti nei crateri che venivano riempiti proprio dalle giare, mentre i pithoi conservavano la bevanda durante tutto il processo di vinificazione. Bellissime scene di vendemmia e di spremitura dell’uva sono rappresentate su alcuni vasi attici che mostrano appunto come il pithos fosse impiegato durante queste attività agricole.
Ci sono però alcuni casi in cui le fonti riportano anche la presenza di altri cibi nelle grandi giare. Abbiamo citazione della conservazione di latte, olio, miele e vari sementi. In particolare Euripide e Plutarco narrano due episodi in cui il latte, presente in grande abbondanza, viene conservato in giare. Platone e Luciano di Samosata invece descrivono la possibilità che le giare siano riempite con altri alimenti quali latte, miele e sementi vari tra cui sono citati frumento, fave, orzo e lenticchie. Questi passi sembrano dunque suggerire una multifunzionalità del contenitore, usato principalmente per la conservazione del vino, ma che all’occasione poteva essere riutilizzato in altro modo.
I testi e le raffigurazioni sui vasi ci testimoniano anche la presenza del pithos nella narrazione di alcuni miti quali quello della punizione infera delle Danaidi e delle imprese di Eracle. Le cinquanta figlie di Danao, per espiare la colpa di aver ucciso i loro mariti durante la prima notte di nozze, erano condannate in eterno a riempire d’acqua una grande giara che però era forata, rendendo l’impresa impossibile. Il pithos è inoltre coinvolto anche in due episodi mitici che vedono come protagonista Eracle con il cinghiale di Erimanto e con Folo. La terza fatica che deve compiere l’eroe consiste nel portare vivo il cinghiale Erimanzio al cospetto di Euristeo; si dice che il re, alla vista della terribile fiera, atterrito, sia fuggito a nascondersi proprio dentro un pithos. Subito dopo questa impresa Eracle si reca nei pressi del monte Foloe dove vive il centauro Folo che lo accoglie con doni ospitali e apre in suo onore una giara di vino. Gli altri centauri, al solo sentire l’odore del vino, molto forte perché di vino vecchio, impazziscono e ne scaturisce uno scontro che causa la morte di molti e tra queste anche quella di Folo.
Questa tipologia di vasi poteva arrivare ad avere anche dimensioni notevoli di oltre un metro. Proprio per la loro grandezza erano molto difficili da realizzare ed era necessario essere dei vasai molto abili. Il filosofo greco Platone ci riporta infatti un detto che era in uso nel quartiere ceramico di Atene che affermava che per distinguere un bravo vasaio bisognava vedere se riusciva a foggiare un pithos.
I due frammenti esposti a Taranto si datano al VI e al V secolo a.C. e sono del tipo con labbro estroflesso superiormente appiattito. Sono dei vasi acromi, ma sul lato superiore del labbro presentano una decorazione a stampiglio. Sul più antico sono raffigurati un mostro e un grifo affrontati, separati tra loro da una palmetta. Il mostro ha sembianze umane, coda serpentiforme e ali spiegate. Sul bordo esterno dell’orlo si trova una decorazione a doppia treccia. Il secondo frammento presenta invece una fascia di onde correnti e ovuli che delimita la parte superiore di una scena figurata in cui è rappresentato un cacciatore armato di arco e lancia che affronta due felini. Sul bordo esterno si trovano meandri.
Orlo di pithos – V secolo a.C.
Da Taranto, Contrada Madre Grazia, 1910.
Secondo piano, Sala III, vetrina 18, 3.1.