Il mirto, pianta aromatica caratteristica della macchia mediterranea, possedeva per i Greci una duplice valenza, erotica e funeraria. Il primo aspetto discende dalla sua connessione con le arti seduttive di Afrodite: Plinio lo definisce myrtus coniugalis per il suo ruolo nel simbolismo nuziale, come augurio di fecondità e prosperità. Tale valenza benaugurante si estendeva al di là del confine della vita terrena: gli iniziati ai culti misterici, ai quali era promessa una sorte privilegiata nell’Aldilà, si cingevano il capo con corone di mirto, che ritroviamo tradotte nel metallo e nella terracotta in numerose sepolture della Taranto greca. Ne è testimonianza la coroncina in foglie di bronzo e bacche di terracotta, le une e le altre rivestite di foglia d’oro, che cinge il collo di un vaso (hydria) in bronzo utilizzato come cinerario in una tomba a cista rinvenuta in via Tirrenia a Taranto (seconda metà del IV sec. a.C.).
Il mirto: amore e morte