La ceramica greca altro non è che una definizione che include differenti tipologie, sia in termini di forme, che di decorazione, che di provenienza. Infatti, ciascuna area geografica del mondo greco ha sviluppato nel tempo una propria peculiare produzione, dalle città greche orientali sino alle colonie in Occidente. Il MArTA è famoso, appunto, per esporre una ricca collezione di vasi provenienti perlopiù dalle necropoli dell’antica Taras. Al secondo piano del Museo, esattamente nella vetrina 63 della Sala VII, è esposto un interessantissimo recipiente in ceramica proveniente da una tomba di età arcaica scoperta nel 1931 in Via Principe Amedeo. Datato tra il 600 e il 580 a.C., si tratta di un cosiddetto calice chiota, ovvero tipico della produzione vascolare dell’isola di Chio, situata al largo dell’attuale costa turca, e appartenente alla più ampia classe della ceramica greco-orientale, per distinguerla dalle produzioni della Grecia propriamente detta e da quelle successive dalle colonie greche dell’Italia meridionale e della Sicilia.
Tipica forma della ceramica chiota è il calice, come appunto l’esempio esposto in vetrina, peraltro rinvenuto frammentario, ed in seguito ricomposto e restaurato. La sua particolarità, così come per la ceramica chiota in genere, è la decorazione della parte esterna del recipiente: sull’ingobbio, o il rivestimento, di colore chiaro, si sviluppa una semplice decorazione figurata, vegetale e geometrica in bruno. Tra la fascia a tratti scuri e chiari alternati che corre al di sotto dell’orlo e l’alto piede a vernice bruna, sul lato secondario compare una rosetta a sette petali, mentre sul lato principale vi è una sfinge alata che incede verso sinistra. Motivi ornamentali quali le rosette, i boccioli e i fiori di loto, animali selvatici o esseri mitologici sono tipici del periodo orientalizzante dell’arte greca, che vede il suo periodo di sviluppo a cavallo tra VIII e VII sec. a.C., per via dell’influenza dell’arte orientale (assira, egizia, fenicia) attraverso l’Egeo e le città greche della costa dell’Asia Minore. In particolare, la sfinge del calice in questione ha le tipiche fattezze della versione greca dell’essere mitologico, ovvero testa femminile con lunga capigliatura, corpo leonino e ali, iconografia derivata sicuramente dalla tipologia egizia, costituita da volto umano (faraone) e corpo leonino. Ciò indica quanto l’arte egizia, ed orientale in genere, abbia influito ed ispirato l’arte greca nella sua fase più antica, segno di continui contatti e scambi tra la Grecia e la Valle del Nilo sin dall’età del Bronzo. Tuttavia, l’essere mitologico assume valenze benefiche e magico-protettive in Egitto, fino a rappresentare essa stessa una divinità, mentre in Grecia rappresenta un demone distruttivo, come si evince dal mito di Edipo e dell’enigma della Sfinge di Tebe. Infine, la sfinge rappresenta l’emblema della stessa Chio, così come compare sulle monete della città-stato coniate a partire dal VI sec. a.C.
L’evidenza di aver rinvenuto nel corredo di una tomba arcaica di Taranto un oggetto di produzione non locale, greco-orientale, in associazione a ceramica corinzia, ionica e dalla madrepatria Sparta, indica quanto Taranto fosse già attiva sui mercati mediterranei in età arcaica, ricettiva di prodotti e stimoli culturali provenienti dall’esterno, fino al momento in cui, a partire dalla seconda metà del V sec. a.C., queste produzioni verranno rimpiazzate dalle importazioni attiche, prima a figure nere, poi a figure rosse, da cui verrà in seguito ulteriormente elaborata la tipica ceramica apula a figure rosse.
Calice chiota – 600-580 a.C.
Da Taranto, via Principe Amedeo, 1931.
Primo piano, Sala VII, vetrina 63, 1.6.