Il cratere di questa tipologia ha un ampio orlo svasato, un corpo cilindrico e un alto piede. Le due anse orizzontali sono a bastoncello e hanno la parte curva a bastoncello rivolta verso l’alto.
Il lato A rappresenta il culmine della tensione del dramma di Alcmena, che siede disperata sul rogo al quale l’aveva condannata il marito Anfitrione; il lato B rappresenta il figlio della donna e di Zeus (che le era apparso con l’aspetto del marito), cioè Eracle in compagnia di una menade, in un’interessante associazione che unisce la predilezione dei Tarantini per il semidio fondatore dell’etnia dorica e la sfera dionisiaca. Un altro frammento mostra sia Anfitrione, identificato da un’iscrizione graffita, sia il simbolo di Zeus: il fulmine.
Il cratere rinvenuto mutilo e restaurato nuovamente per la nuova esposizione del MArTA, si data tra il 410 e il 400 a.C. e per la qualità e lo stile delle pitture vascolari è attribuito al Pittore della nascita di Dioniso.
Alcmena nel mito
Secondo il mito, la donna, mentre il marito Anfitrione era in guerra contro i Teleboi, fu sedotta da Zeus e concepì Eracle; poi, secondo leggende più tarde accolte da Euripide, ebbe da Anfitrione un figlio mortale, Ificle, che generò contemporaneamente a Eracle.
Secondo Euripide, Anfitrione avrebbe voluto punire con la morte sul rogo l’infedeltà della moglie ma Zeus la salvò con una pioggia miracolosa. Questa è la scena rappresentata sul nostro cratere, rinvenuto nel 1917 in Contrada Corti Vecchie, proprietà Acclavio, ma fuori un contesto certo, anche se quasi certamente era relativo ad una sepoltura.
Il rinvenimento di questo esemplare dal notevole valore pittorico si ricollega al gusto che la Taranto antica aveva per il teatro sia tragico (scrissero di Alcmena i tre grandi della tragedia attica, Eschilo, Sofocle ed Euripide) sia comico e parodico (per esempio, Plauto con l’Amphitruo).
