L’arte della tessitura, antica quasi quanto l’uomo, è attestata in tutte le civiltà del Mediterraneo e dell’Europa.
Tra i ritrovamenti archeologici, i resti di telai lignei sono estremamente rari a causa della deperibilità della materia prima. Sono invece più frequenti, negli strati archeologici, i fusi, le conocchie in osso e i pesetti da telaio in terracotta utilizzati per mantenere tesi i fili dell’ordito che venivano intrecciati con la spola per creare la trama. Il tessuto prodotto veniva poi progressivamente avvolto su un asse chiamato subbio e, successivamente, colorato con sostanze naturali.
Il telaio verticale era il tipo più diffuso, ma è verosimile che esistessero anche telai più piccoli, come quelli frequentemente raffigurati sui vasi greci, probabilmente impiegati per lavori domestici, tra cui la realizzazione di sciarpe, cinture, fasce e altri accessori tipici dell’abbigliamento femminile.
Nella vita domestica dell’antichità, le donne erano responsabili della produzione di tutti i tessuti necessari, inclusi abiti, coperte, tendaggi e cuscini.
La tessitura era considerata simbolo di abilità, prestigio e virtù femminile e richiedeva grande perizia, soprattutto per lavorare alcuni materiali come la lana. La lavorazione della lana, infatti, prevedeva diverse fasi: la cardatura, per eliminare impurità e districare le fibre; la filatura, eseguita con il fuso per torcere le fibre in fili e, infine, l’aspatura, che consisteva nell’avvolgere il filo in matasse, successivamente lavate e lisciate.
Città come Mileto, in Asia Minore, e Alessandria, in Egitto, erano rinomati centri di lavorazione della lana. Anche in Italia, in particolare nel Sud, dove l’allevamento di pecore era diffuso, si producevano stoffe di lana pregiata. L’Egitto, invece, era celebre per la produzione di tessuti di lino, realizzati sia nelle case private sia in grandi manifatture. Altri centri importanti per il lino erano Tarso, in Cilicia, l’Italia settentrionale e la Spagna, quest’ultima specializzata nell’esportazione di lino grezzo.
Durante l’età ellenistica, i tessuti erano spesso arricchiti con fili d’oro e decorati con applicazioni preziose, come brattee e bottoni in oro o argento. Tuttavia, la deperibilità di questi materiali li rende estremamente rari tra i ritrovamenti archeologici.
In alcuni contesti funerari tarantini sono stati rinvenuti frammenti di tessuti con fili d’oro, testimonianza dell’eleganza e del lusso di queste vesti. I lembi di stoffa, scuriti dal tempo, sono tra i pochi resti di questi antichi abiti, originariamente tinti con colori vivaci, come la porpora, un pigmento violaceo estratto dal mollusco Murex brandaris. Un altro materiale tessile particolarmente pregiato nell’antichità era il bisso, una sorta di seta naturale marina utilizzata per tessuti di grande valore. Il celebre tarantinidion, una veste impalpabile e raffinata, famosa in tutto il Mediterraneo antico, era verosimilmente prodotto a Taranto, come suggerisce il nome stesso. Studi recenti ipotizzano che fosse realizzato proprio con il bisso marino ottenuto dai filamenti della Pinna nobilis, un mollusco che popola ancora oggi le acque del Mar Piccolo.
Conocchia in osso – Metà I secolo a.C.
Da Taranto, via F. Crispi, 1984.
Primo piano, Sala XIX, vetrina 36, 8.1.