Si è svolta lo scorso 19 ottobre la Giornata di Studi “Dalla Mappatura alla promozione e artivazione dei territori del contemporaneo”, con il coordinamento scientifico di Eva Degl’Innocenti e Cesare Biasini Selvaggi.
Il manager culturale e direttore editoriale di Exibart, Cesare Biasini Selvaggi, ha incontrato, in una intervista sul tema, l’artista pittore, scultore e animatore culturale italiano, Michelangelo Pistoletto.
(D) Cesare Biasini Selvaggi – Perché per lei sin dall’inizio è stato importante mappare i territori? Non solo dal punto di vista geografico ma anche culturale, sociale ed economico?
(R) Michelangelo Pistoletto – L’idea di mappatura può partire da lontano, dal mio “Progetto Arte” pubblicato con un manifesto in cui sostenevo che era arrivato, per l’artista, il momento di mettere in connessione tutti gli aspetti della società – la politica, l’economia, l’educazione, la religione, il comportamento. Per me questi settori della società sostituiscono i settori dell’arte, cioè la musica, la poesia, il teatro, il cinema. Da questi settori dell’arte sono passato ad occuparmi dell’integrazione dei settori della società portandola a diventare fenomeno corale nel senso artistico e portando l’arte a diventare fenomeno politico di organizzazione comune. La mappatura vera e propria è venuta più tardi, quando è arrivata la trasformazione del concetto di democrazia in demoprazia, cioè la demo-pratica. La democrazia, per come è stata pensata, è un grande sogno, uno straordinario ideale che però non si riesce a portare a conclusione perché manca la vera soluzione pratica.
Il popolo da solo non può avere potere – democrazia significa appunto potere del popolo. Bisogna che le persone siano unite tra loro. Ma come si uniscono? Abbiamo visto i grandi partiti che finiscono, però, per diventare ideologici mentre avremmo bisogno di partiti pratici. E la pratica esiste già perché è formata dalle imprese, piccole medie e grandi: luoghi in cui si lavora, si promuove e si agisce insieme. Anche una famiglia è già una piccola impresa, un piccolo governo che per funzionare ha bisogno dell’accordo tra i suoi componenti.
Dobbiamo mettere le imprese a connettersi, di modo che tutti questi piccoli governi possano formarne uno intermedio che permetta ai piccoli di risolvere i problemi che è necessario risolvere per convivere e creare civiltà. Siamo passati alla mappatura per fare un elenco delle varie imprese che ci sono in un dato territorio e che sono disponibili a mettersi in confronto demopratico.
Partendo da Cittadellarte abbiamo fatto la mappatura delle realtà di Biella individuando tutte le piccole e medie imprese, le associazioni e le organizzazioni per poi metterle insieme in una mostra attraverso cui tutte si potessero conoscere a vicenda. In questo modo si è potuto creare un forum in cui mettere al centro un grande tema che potesse essere discusso e a cui trovare una soluzione.
(D) – Come vede il futuro dell’arte?
(R) – Il futuro dell’arte lo vedo, in parte, come era prima: artisti e studenti d’arte devono imparare a sviluppare una propria creatività, una propria dinamica, quella libertà individuale conquistata attraverso l’arte moderna e contemporanea. Ma non soltanto per avere un riconoscimento individuale, che è necessario, ma piuttosto per far sì che due artisti che hanno capacità creative diverse le impieghino insieme per fare qualcosa che coinvolga la società. La dualità diventa, così, un fenomeno di creazione che non è solo individuale ma sociale, e diventa collettivo se si insegna fin da bambini a essere più creativi, liberi e autonomi. L’artista usa, quindi, questa autonomia mettendosi in connessione e cercando nuove soluzioni che possono trovarsi solo attraverso un concetto di coautorialità.
(D) – Come vede il futuro?
(R) – Il futuro in generale lo vedo in relazione al concetto di coautorialità, alla capacità di mettere insieme le aspettative di benessere e di uguaglianza mettendo in moto il principio dell’unione delle differenze. Tutto avviene per incontro di differenze, non ci sono due cose assolutamente identiche e non esiste una identicità che possa essere predeterminata ma sempre una dualità che si combina. Ho rappresentato questa idea con il simbolo trinamico, che deriva da quello dell’infinito ed è l’unione di tre cerchi: da una parte abbiamo un elemento, nel cerchio opposto la rappresentazione di un elemento differente e in quello centrale avviene l’unione. Tutto l’universo è fatto di elementi diversi che si devono unire in questo centro che è un cerchio vuoto, poiché deve permettere agli elementi di unirsi, ma è sempre pieno perché l’unione avviene sempre.
Questo è il modo con cui la natura crea ed è lo stesso con cui gli esseri umani creano artificialmente. Ciascuno di noi è un elemento che deve essere congiunto, non solo con le altre persone ma con tutti il resto per creare un terzo elemento che non prima esisteva. Questo è il metodo della creazione che ora ha una formula riassumibile nei tre cerchi. Uno più uno fa tre.